Nell’Italia low cost della crisi, i cinesi fanno affari d’oro
- taiview
- 19 ott 2014
- Tempo di lettura: 3 min
Dal lusso ai metalli, passando per le rinnovabili. Le strategie della Cina cambiano. Ora rinuncia ai profitti di breve periodo e investe sugli asset Ue, a cominciare da quelli nostrani

Dai paesi del sud est asiatico, passando per la Russia, l’Africa ed infine d’Europa. La strategia espansionistica cinese ha da tempo contorni geografici ben definiti, contrariamente agli ambiti merceologici, fino ad oggi molto vari e diversificati. Eppure negli ultimi mesi la prima economia mondiale ha cambiato pelle, riducendo gli investimenti nel lusso per aggredire il mercato dei metalli e quello energetico. L’ovvietà di un simile interesse per le fonti energetiche però si scontra con una tendenza nuova ad investire anche in segmenti maturi di paesi già sviluppati, contrariamente alle strategie di penetrazione in mercati secondari e più facilmente accessibili. L’accordo tra il premier Renzi e il primo ministro cinese Li Keqiang non è che il coronamento di trattative avviate da tempo, che hanno visto il gigante asiatico acquistare il 35% di Cdp Reti con il denaro di State Grid Corporation of China, il 40% di Ansaldo energia e piccole quote di Eni, Enel e Telecom. Qualcosa sta cambiando, ma il crescente fabbisogno energetico cinese spiega solo parzialmente l’interesse per realtà economiche in alcuni casi di dimensioni modeste o che versano in condizioni economiche non proprio ottimali. Il 30% delle quote di Snam e di Terna possedute da Cdp Rieti sono la riprova che ai cinesi dell’energia importa relativamente, quel che conta è l’appropriazione di asset strategici legati alle infrastrutture energetiche dei paesi europei.
ASSET SOTTOCOSTO - Il tour di Li Keqiang, prima di portarlo in Italia, è passato non a caso per laRussia, dove i cinesi stanno trattando da tempo la creazione di una grande rete di gasdotti per pompare decine di milioni di metri cubi di gas all’anno. Il denaro cinese potrebbe infatti fornire alle industrie russe gli strumenti finanziari per aggirare l’Ucraina e far transitare i nuovi gasdotti altrove, bypassando una contesa ormai radicata che si riflette anche in termini di costo nella domanda energetica dei paesi europei. L’apertura di nuove possibilità economiche per l’Europa però ha un costo in termini strategici e per la Cina è venuto il momento di fare affari.
Dopo aver stipulato già in passato accordi commerciali con Eni per un’operazione rilevane in Mozambico, ora la Cina si prepara a passare da partner a socia delle nostre imprese. Buon per tutti in termini economici, viste le difficoltà del nostro paese nel reperire finanziamenti dall’estero, se non fosse che gli investimenti diretti della Cina in Italia, quasi raddoppiati negli ultimi anni, sono diretti interamente verso i nostri asset strategici.
Le imprese italiane non sono certo la soluzione al fabbisogno energetico cinse, tanto più in ragione di costi più elevati rispetto ad altri paesi del sud est asiatico, ma hanno tutte le credenziali per poter essere considerate al pari di opzioni di investimento a lungo termine. Entrare nel mercato energetico italiano garantisce alla Cina un canale preferenziali di ingresso nell’intero network di reti ed infrastrutture europee, nonché l’accesso a progetti internazionali di primissimo livello. Non è un caso che rumor vedano in Saipem, vincitrice dell’appalto per portare il metano dalla Russia all’Europa, la prossima vittima dello sfrenato shopping asiatico.
LIQUIDITA’ IN ECCESSO – Investire nell’Italia low cost delle dismissioni non è utile solo strategicamente ma anche economicamente. Complice l’enorme surplus economico accumulato dalla prima economia del mondo, la Cina ora si trova a poter investire enormi capitali quasi senza badare a spese. Si giustificano in questo senso manovre dubbie come quelle che hanno portato imprese cinesi ad avanzare offerte d’acquisto per AnsaldoBreda, società non certo in trend positivo ma di indubbio impatto mediatico. La complessa situazione economico-politica di paesi come Italia, Spagna e Portogallo continuamente interessati a dismettere le proprie quote detenute presso grandi società multinazionali è un’occasione irrinunciabile per un paese che ha eccesso di liquidità e può investirla senza dover ricorrere a continue scremature tra le aree d’affari.
L’Italia, come rivela il Financial Times, è al primo posto nell’indice di gradimento dei cinesi, ma in generale stiamo assistendo ad una netta inversione di tendenza rispetto al passato. La rotta degli investimenti diretti che una volta andava dall’Ue alla Cina sta cambiando verso anche a causa di una maggiore concorrenza sviluppatasi nel paese asiatico che ora reputa, ragionevolmente, profittevole espandere i propri mercati condividendo rischi e benefici con grandi aziende come quelle italiane, attive in progetti internazionali e garanti spesso di un know how tecnologico quasi accessibile. La domanda da porsi però è sempre la stessa: il prezzo di un asset equivale al valore dell’impresa che lo detiene?
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