Cina, Napoli e tecnologia
- taiview
- 21 ott 2014
- Tempo di lettura: 5 min
Tecnologia Si è svolto a Napoli il China-Italy Innovation Forum, imprese e istituzioni cinesi hanno grande interesse a cooperare con gli enti italiani. Le risorse non mancano: il paese spende 11 volte quel che fa l'Italia in ricerca e svllluppo

L'ingegner Chen Hongkai, direttore della Commissione scienza e tecnologia della municipalità di Shanghai, spiega che lo sviluppo scientifico e tecnologico della Cina ha bisogno della lunga esperienza dell’Europa e dell’Italia. Mister Hongkai gestisce un budget che è il 3% della spesa del governo locale di cui fa parte: significa che a Shanghai il 3% della spesa pubblica va in ricerca e sviluppo. Mica male, pensando che in Italia, tra quello che ci mette il settore pubblico e quello che aggiungono le imprese private arriviamo all’1,2% del Pil. Eppure, dice mister Hongkai, ancora più importante dei soldi, che vanno soprattutto alle aziende medie e piccole, è l’aiuto che può dare la politica, le facilitazioni alle imprese che vogliono investire, le procedure più semplici e la strada spianata che il governo può offrire a chi si impegna. Lui ha un obiettivo molto chiaro in mente: vuole che la municipalità di Shanghai, cioè una megalopoli di oltre 20 milioni di abitanti, che oggi è seconda rispetto a Pechino nella sfida scientifica, arrivi presto al primo posto. “È il bello della competizione!”, dice, suscitando subito il dubbio che questa visione competitiva dello sviluppo possa essere un modo per ingraziarsi l’interlocutore occidentale e mostrare che la Cina sposa la logica capitalistica. “Stiamo studiando dall’Europa e dall’Italia. Vorremmo collaborare con aziende italiane nel campo del biotech e della protezione ambientale, per esempio. Ma lasciamo fare alle imprese”, dice, e fa ruotare il braccio ad abbracciare chi gli sta attorno. Chi gli sta attorno sono una sessantina tra imprenditori e rappresentanti di centri di ricerca o, come nel suo caso, di istituzioni cinesi arrivati a Napoli, ospiti della Città della Scienza e del suo incubatore di imprese, per due giorni di incontri con le loro controparti italiane. L’incontro si ripete ogni anno, ormai: nel 2013 erano stati gli italiani a sbarcare in Cina, quest’anno i cinesi hanno ricambiato la visita. È stata colta l’occasione della coincidenza con il vertice Asem, l’incontro tra Paesi europei e asiatici in programma a Milano. E così il primo ministro italiano Matteo Renzi e quello cinese Li Keqiang hanno potuto mettere la propria firma, e la propria faccia, sotto una serie di accordi in campo scientifico sottoscritti a Milano oggi in una coda dell’appuntamento napoletano che è stata ospitata dal Politecnico di Milano. Se sia più importante lasciar fare alle imprese, come dice Hongkai, o gli accordi a livello di governi, si vedrà. Certo, resta il dubbio su quello che il rappresentante di Shanghai sostiene. Perché la Cina sa di essere all’avanguardia in molti settori, come quello spaziale, in cui ha fatto tutto da sola e in pochi anni ha colmato un gap enorme. Ormai i cinesi lanciano satelliti come e meglio di Europa e Stati Uniti, mandano nello spazio astronauti e stanno costruendo la loro stazione spaziale. Come tutti sappiamo, la Cina ha una crescita economica vorticosa, seppure un po’ in frenata. Con 293 milioni di dollari investiti in ricerca e 130 mila articoli scientifici inseriti nello Science Citation Index, pari al 12 per cento di tutto ciò che si pubblica di scientificamente importante nel mondo, è ormai stabilmente al secondo posto, superata solo dagli Stati Uniti. Se non siete stupiti, pensate però che nel 1995 l’investimento in ricerca della Repubblica Popolare era comparabile a quello dell’Italia, dieci anni dopo, nel 2004, aveva raggiunto il livello della Germania, nel 2008 aveva agganciato il Giappone e oggi vale già il doppio dei rivali nipponici (e undici volte l’Italia). Se questa è la situazione, che bisogno ha allora la Cina delle imprese italiane? Eppure, proprio in campo aerospaziale è già partito un accordo tra L’Agenzia spaziale cinese e quella italiana per realizzare la mappatura della Luna: i cinesi ci mettono le foto dai satelliti, ma l’analisi dei dati poi viene fatta insieme. L’esperienza degli scienziati italiani non è facile, evidentemente, da eguagliare così in fretta. Qui siamo nel caso di un grande ente di ricerca e di un grande progetto di ricerca pura. E certo, per i ricercatori italiani, giovani o meno giovani, la Cina potrebbe diventare prestissimo una nuova opportunità: in fondo per chi vuole fare ricerca, che cosa c’è di meglio di un Paese che ci crede fortemente e ci investe grandi risorse? Infatti, gli scambi tra università si moltiplicano, Politecnico di Milano e Politecnico di Torino hanno già avamposti in Cina. Mister Ryan, invece, è il vicedirettore di una società che si occupa di pagamenti online. Un sistema, spiega, utilizzato già dal 15-20% delle persone in Cina e nelle grandi città si sale anche al 30-40%. A Napoli è arrivato per cercare chi sia in grado di aiutarlo varcare il confine del suo Paese e permettere ai cinesi di fare acquisti online anche in Europa e in Italia. “La piattaforma esiste, stiamo aspettando le licenze governative”, dice. Manca solo di trovare i partner giusti. Lorenzo Benussi, che fa parte della task force per l’innovazione della Presidenza del consiglio ed è un esperto di politica dell’innovazione, durante la due giorni a Città della Scienza ha partecipato a un workshop sul tema delle smart cities ed è appena tornato da un appuntamento a Pechino dedicato a innovazione e trasferimento tecnologico. La sua impressione è che dal punto di vista delle tecnologie, i cinesi siano assolutamente all’avanguardia. E, per esempio, stanno lavorando molto sulle città intelligenti nella logica di aumentare i risparmi, la velocità: hanno bisogno di economizzare, di fare di più con meno e più in fretta. Che non è proprio l’approccio occidentale, in cui le smart cities dovrebbero essere sì più efficienti, ma anche più vivibili, più ricche di servizi che funzionino meglio. Proprio l’apertura a una prospettiva diversa, però, secondo Benussi può essere un valore aggiunto. “I cinesi dicono piuttosto chiaramente di aver bisogno di soluzioni differenti rispetto a quelle pianificate, di un pensiero meno focalizzato, più divergente. Per questo per loro possiamo essere una fonte di innovazione”. Insomma, non bisogna dimenticare che la crescita della ricerca è comunque il frutto di una attenta pianificazione, prevista e programmata nel XII piano quinquennale. “A volte può essere sufficiente poco per completare un prodotto che loro hanno già, o per dargli la possibilità di entrare nel mercato europeo. Un’azienda di prodotti cosmetici ha fatto un accordo per realizzare qui il controllo di qualità della produzione cinese”, racconta Valeria Fascione, direttrice del Business Innovation Center di Città della Scienza, l’incubatore di imprese che, caso unico, lavora accanto allo Science center, condividendo la logica di dare un futuro di sviluppo attraverso la diffusione la condivisione della cultura scientifica. In sette anni di lavoro con questo China-Italy Innovation Forum, ha già visto cambiare molte cose. Mentre molti faticano ancora ad accettare l’idea che la Cina non sia più un luogo dove delocalizzare produrre a basso costo, le opportunità per chi ha buone idee e buoni prodotti non sono già le stesse di quelle che c’erano poco tempo fa. Pechino è ormai una meta molto gettonata, ed essere ascoltati lì comincia a diventare più difficile che in altre aree del Paese meno battute fino ad ora dalle missioni occidentali. Insomma, le cose non sono semplici come potrebbero sembrare. Bisogna avere qualcosa da proporre davvero e bisogna saper gestire rapporti complicati e farraginosi. Ne può valere la pena se in cambio c’è la possibilità di entrare in un mercato enorme C’è un ultima cosa, poi, che si sente riecheggiare come una musica di sottofondo in molti discorsi apparentemente dedicati solo a scienza e tecnologia: da parte dei cinesi c’è ammirazione e attrazione per il modo di vivere italiano. Non sono solo la moda, l’eleganza e il design, ma anche la storia, la cultura, il modo di stare insieme. C’è il desiderio, come mi dice Xu Dandan, vicedirettrice del sito di informazione People.cn, di avere più notizie da leggere sull’Italia, che però non parlino di mafia o di camorra, ma delle persone italiane e di quello che fanno nella loro vita.
Fonte:







Commenti